LA REALIZZAZIONE PLURISOGGETTIVA DEL DELITTO DI AUTORICICLAGGIO

 

Caduto nel 2015 il cd. privilegio dell’autoriciclaggio, oggi l’art. 648-ter.1 cod. pen. sanziona le condotte di money laundering realizzate dal medesimo autore del reato presupposto. Il legislatore, tuttavia, ha dimenticato (o deliberatamente deciso?) di coordinare la fattispecie in questione con la disciplina relativa al concorso di persone nel reato, determinando un problema interpretativo di non poco momento: quale fattispecie si applica se i beni provenienti dal delitto presupposto vengono reimpiegati non solo dall’autore del delitto presupposto, ma anche da un terzo che non abbia commesso o concorso a commettere il predicate-crime? Con il presente contributo, ricostruiti gli elementi essenziali del reato di autoriciclaggio, verranno analizzate le principali tesi interpretative fornite da dottrina e giurisprudenza, evidenziando infine l’approdo delle Sezioni Unite, lontano dalla reale risoluzione della problematica in oggetto.

 

Avv. Maria Giulia Bettini

Sommario

  • Introduzione
  • Il reato di autoriciclaggio
  • La realizzazione plurisoggettiva del reato di autoriciclaggio
  1. Le teorie fondate sul concorso di persone nel reato
  2. La teoria del concorso apparente di norme
  3. La teoria della differenziazione dei titoli di reato
  4. La posizione assunta dalla Corte di Cassazione
  • Considerazioni finali

 

INTRODUZIONE

Nel panorama della normativa italiana finalizzata alla prevenzione dei fenomeni di riciclaggio, un ruolo cardine è rivestito dalla normativa penale, nello specifico dagli artt. 648 ss. cod. pen.

Fino al 2015, tuttavia, tale ordito normativo contemplava il cd. privilegio dell’autoriciclaggio, poiché non era punibile colui che, avendo commesso o concorso a commettere un reato presupposto del riciclaggio, successivamente compisse operazioni economiche o finanziarie finalizzate a impiegare i proventi del reato commesso a monte. Tale impostazione costituiva il frutto di una visione tradizionalista e ormai anacronistica dei fenomeni di self-laundering, di una impostazione che guardava con minor disvalore sociale la condotta dell’autoriciclatore in quanto conseguenza quasi scontata del reato commesso anteriormente.

Tale impostazione è andata mutando, almeno sulla carta, sulla scia della pressione eurounitaria finalizzata a implementare e rafforzare il sistema sanzionatorio verso i fenomeni di money laundering. Così, con la Legge 186/2014, il legislatore italiano ha introdotto nel Codice penale l’art. 648-ter.1, fattispecie che sanziona le condotte di autoriciclaggio.

Lo scopo della nuova incriminazione è quello di contrastare l’inquinamento dell’economica legale che derivi dal reimpiego dei beni che il medesimo soggetto abbia ricavato dalla commissione di altri delitti, prendendo atto del fatto che, nella prassi, frequentemente le risorse illecite ottenute dalla commissione di un reato vengono reinvestite in attività economiche lecite al fine di ottenerne frutti ulteriori, nonché con lo scopo di ottenere flussi di denaro “puliti” da utilizzare sul mercato legale.

Oltre alle prevedibili problematiche relative alla successione di leggi penali nel tempo derivanti dalla nuova incriminazione, l’art. 648-ter.1 cod. pen. ha da subito posto la questione della possibile realizzazione plurisoggettiva dell’autoriciclaggio: quid est nel caso in cui i beni provenienti dal delitto a monte vengano reimpiegati non solo dall’autore del delitto presupposto, ma anche da un terzo che non abbia commesso o concorso a commettere il predicate-crime?

La norma in questione, infatti, ha coniato una fattispecie ontologicamente concorsuale, omettendo, tuttavia, di coordinarla con le fattispecie che già incriminavano condotte analoghe poste in essere da altri soggetti, nonché trascurando l’applicabilità dell’ordinaria disciplina in materia di concorso di persone nel reato. La dottrina ha quindi percorso strade diverse al fine di razionalizzare il sistema del concorso di più soggetti alla realizzazione del medesimo fatto di autoriciclaggio, muovendo da percorsi logici diversi e, conseguentemente, giungendo a conclusioni differenti.

La Corte di Cassazione, inizialmente orientata su di una impostazione diametralmente opposta

, ha mutato posizione dal 2018, abbracciando una delle tesi maggioritarie in dottrina, la quale, tuttavia, pone problematiche di ordine interpretativo di non poco momento.

Trattandosi di una tematica alquanto complessa, nel presente contributo si procederà ad analizzare sinteticamente il delitto di autoriciclaggio di cui all’art. 648-ter.1 c.p. per poi soffermarsi in modo più approfondito sull’inquadramento della figura dell’extraneus nel delitto in questione.

 

IL REATO DI AUTORICICLAGGIO

Per quanto attiene alla struttura del reato, l’art. 648-ter.1 cod. pen. punisce con la reclusione da due a otto anni e la multa da 5.000 a 25.000 euro chi, “avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”.

Il secondo comma stabilisce una cornice edittale più mite, vale a dire la reclusione da uno a quattro anni e la multa da 2.500 a 12.500 euro, per il caso in cui il delitto non colposo presupposto sia punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni; tornano invece ad applicarsi le pene del primo comma se si tratta di delitto commesso con le modalità di cui all’art. 7 del d.l. 152/1991, il quale prevede l’aggravante dell’agevolazione mafiosa.

Il quarto comma prevede una causa di non punibilità in relazione alle condotte “per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale”, inciso che ha destato stupore negli interpreti, divisi sulla reale portata di una simile previsione.

L’ultimo comma, infine, prevede una circostanza aggravante a effetto comune qualora i fatti siano commessi nell’esercizio di attività bancaria, finanziaria o altra attività professionale, alla quale si aggiunge una notevole diminuzione di pena, fino alla metà, nel caso in cui l’autore “si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l’individuazione dei beni, del denaro o delle altre utilità provenienti dal delitto”.

La condotta sanzionata dall’art. 648-ter.1 cod. pen. consiste nell’impiego, sostituzione o trasferimento in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative dei proventi delittuosi: trattasi di modalità alternative di condotta le quali riecheggiano le condotte proprie dei delitti di riciclaggio e reimpiego.

L’art. 648-ter.1 cod. pen. è fattispecie a dolo generico: ne consegue che nel fuoco della rappresentazione dovranno rientrare non solo gli elementi del fatto tipico, ma anche la provenienza delittuosa dei beni; l’agente dovrà anche volere, oltre alla condotta di impiego/sostituzione/trasferimento, anche l’ostacolo della provenienza delittuosa del bene o utilità.

A ben vedere, non dovrebbe essere particolarmente complesso l’accertamento della conoscenza della provenienza illecita dei beni in capo all’agente: essendo quest’ultimo, almeno tendenzialmente, l’autore del reato presupposto, sarà consapevole della provenienza dei beni dalla commissione del delitto presupposto.

Il problema, piuttosto e come si vedrà nella seconda parte del presente elaborato, si pone nei confronti del concorrente extraneus (id est, colui che non abbia preso parte alla commissione del delitto presupposto), per il quale potrebbe essere più arduo fornire la prova del dolo sulla provenienza del bene riciclato.

In dottrina si è posto il problema inerente all’inclusione del reato dell’autoriciclaggio nel catalogo dei reati presupposto della responsabilità dell’ente ex art. 25 ss. del D. Lgs. 231/2001. Nello specifico, autorevole dottrina ha da sempre ritenuto che, affinché potesse essere mosso un rimprovero all’ente, il reato presupposto dell’autoriciclaggio dovesse essere ricompreso tra i reati presupposto della responsabilità dell’ente. Ragionando diversamente, si giungerebbe a una violazione del principio di tassatività previsto dallo stesso D. Lgs. 231/2001, con la conseguenza che, mediante la breccia aperta dal delitto di autoriciclaggio, l’ente potrebbe essere chiamato a rispondere indirettamente per qualunque fattispecie di reato, anche per quei delitti non compresi nel novero del D. Lgs. 231/2001.

Secondo altra dottrina, invece, il reato i cui beni vengano reimpiegati, sostituiti o trasferiti potrebbe essere di qualunque natura, dunque anche non ricompreso nel novero dei delitti presupposto del D. Lgs. 231/2001: ciò perché l’ente sarebbe comunque tenuto ad attivarsi per contrastare il rischio che un soggetto operante al suo interno possa investire in attività economiche qualunque provento delittuoso, a prescindere dalla tipologia di reato che risieda a monte rispetto al delitto, a valle, di autoriciclaggio.

 

LA REALIZZAZIONE PLURISOGGETTIVA DEL REATO DI AUTORICICLAGGIO

La grande sfida per l’interprete consiste nell’individuazione della disciplina applicabile nel caso in cui, essendo stato commesso un delitto presupposto da un determinato soggetto, il medesimo si avvalga di un terzo, estraneo alla commissione del reato presupposto, al fine di reimpiegare i proventi del reato a monte.

La questione non può che originare dalla scelta del legislatore di formulare una fattispecie ad hoc per sanzionare l’autoriciclaggio, senza prendere in considerazione i profili concorsuali collegati a una simile impostazione: in altri termini, il legislatore ha deciso di scindere sul piano giuridico ciò che è normalmente unitario sul piano fenomenologico. Solitamente, infatti, l’autore del reato presupposto partecipa alla condotta di riciclaggio dei proventi derivanti dal reato che esso stesso ha commesso, mentre sono del tutto residuali le ipotesi nelle quali delitto presupposto e autoriciclaggio vengono realizzati, entrambi ed esclusivamente, da un unico soggetto agente. Il legislatore ha così finito per “parcellizzare l’inquadramento giuridico di una dinamica unitaria 1, indirizzandola verso fattispecie limitrofe ma con cornici edittali molto diverse l’una dall’altra.

I profili problematici non attengono tanto al reato contestabile all’autore del reato presupposto, essendo la condotta dello stesso agilmente inquadrabile, alternativamente, nello schema delineato dall’art. 648-ter.1 cod. pen. qualora il soggetto abbia concorso nel delitto di autoriciclaggio, ovvero nello schema del reato presupposto. La problematica di maggiore momento attiene al delitto ascrivibile al soggetto che, pur non avendo commesso o concorso a commettere il delitto presupposto, realizzi la condotta prescritta dall’art. 648-ter.1 cod. pen.

A ben vedere, ci si troverà dinnanzi a una evidenza giuridica così sintetizzabile: il soggetto detentore della qualifica utile ai fini dell’art. 648-ter.1 cod. pen. (intraneus) ha realizzato la condotta richiesta dalla fattispecie, mentre il soggetto che ha concorso con l’intraneus alla realizzazione della condotta delineata dall’art. 648-ter.1 cod. pen. è privo della qualifica richiesta dalla norma, risultando proprio per questo essere un extraneus.

La problematica in questione è stata risolta da dottrina e giurisprudenza facendo riferimento a tre macrocategorie della teoria generale del diritto penale che, evidentemente, conducono a conclusioni diametralmente opposte.

  1. Le teorie fondate sul concorso di persone nel reato

Secondo alcuni autori, al problema della plurisoggettività nel delitto di autoriciclaggio non potrebbero che applicarsi le ordinarie regole sul concorso di persone nel reato di cui agli artt. 110 ss. cod. pen., in particolare l’art. 117 cod. pen. relativo al concorso di persone nel reato proprio. Pur essendo questo il dato comune a tutte le tesi che fondano il ragionamento sull’istituto del concorso di persone nel reato, non tutte gli autori giungono alla medesima conclusione in ragione di un dato fondamentale: non solo non è pacifica la natura di reato proprio esclusivo (o di mano propria) del delitto di autoriciclaggio, ma non è neppure pacifica, nell’ambito della più generale teoria del diritto, la necessità che nei reati propri nei quali concorra un soggetto extraneus la condotta descritta dalla fattispecie venga interamente realizzata dal soggetto intraneus.

Se si ritiene che il delitto di autoriciclaggio costituisce un reato proprio esclusivo, vale a dire che può essere commesso esclusivamente dal soggetto munito della qualifica richiesta dalla norma, ovvero che si tratta di reato proprio non esclusivo ma che in questa categoria rilevi la differenziazione dei ruoli tra intraneus ed extraneus, la soluzione pare obbligata: l’extraneus risponderà di riciclaggio, mentre l’intraneus del delitto di autoriciclaggio ma solo qualora abbia concorso al reimpiego dei beni delittuosi, potendo altrimenti andare esente da responsabilità.

Ciò perché l’extraneus avrà posto in essere la condotta richiesta dall’art. 648-ter.1 cod. pen. in difetto, tuttavia, della qualifica richiesta indefettibilmente dalla norma, mentre l’intraneus, pur munito della qualifica necessaria, potrebbe non aver realizzato il fatto tipico necessario ai fini della fattispecie.

Qualora, invece, si aderisca all’impostazione secondo la quale nel reato proprio non rilevi la ripartizione interna dei ruoli tra intraneus ed extraneus, potendo il fatto tipico essere realizzato indifferentemente da ciascuno dei soggetti agenti (se non nei casi di reato proprio esclusivo), si riterranno applicabili le ordinarie regole stabilite dagli artt. 110 ss. cod. pen.: in tal caso, l’intraneus risponderà del reato di autoriciclaggio, avendo la qualifica ed avendo contribuito a realizzare la condotta di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen., e al contempo l’extraneus concorrerà nel reato di autoriciclaggio.

Aderendo alla seconda impostazione, tuttavia, si finirà per sanzionare con una pena inferiore al passato il soggetto che, non avendo concorso nel delitto presupposto, realizzi la condotta di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen.: lo stesso, difatti, anteriormente all’introduzione dell’art. 648-ter.1 cod. pen., avrebbe risposto del reato di riciclaggio, il quale prevede una cornice edittale maggiore rispetto all’autoriciclaggio. Un simile risultato parrebbe essere in netto contrasto con la logica che della riforma che ha introdotto il delitto di autoriciclaggio, la quale aveva il chiaro intento di incriminare una condotta, quella dell’autoriciclatore, non ancora sanzionata dall’ordinamento nazionale, non certo quello di attenuare la pena per il riciclatore.

 

  1. La teoria del concorso apparente di norme

Altri autori2 ritengono che la problematica della realizzazione plurisoggettiva del delitto di autoriciclaggio debba piuttosto essere inquadrata nello schema dell’istituto del concorso apparente di norme.

La condotta posta in essere dal solo terzo, se analizzata individualmente, parrebbe integrare, alternativamente, una delle condotte descritte dalle fattispecie di riciclaggio o reimpiego, di cui agli artt. 648-bis e 648-ter cod. pen., poiché il soggetto ricicla o reimpiega proventi di un reato commesso da altri. La condotta del terzo, tuttavia, combinandosi con la condotta dell’intraneus, non può più essere analizzata solamente sotto un profilo individuale, ma deve essere osservata in una dimensione plurisoggettiva. In questa nuova prospettiva, la condotta realizzata dall’extraneus ricalcherebbe quella delineata dall’art. 648-ter.1 cod. pen., fattispecie che presuppone uno stretto legame tra il provento del delitto a monte e la condotta di riciclaggio o reimpiego.

Non sarebbe possibile, ad ogni modo, contestare al medesimo soggetto, per il medesimo fatto e in relazione alla medesima condotta, sia il delitto di riciclaggio che quello di autoriciclaggio, poiché si tratterebbe di un bis in idem sostanziale. Si tratterebbe, allora, di individuare quale, tra le due norme, risulti applicabile alla condotta dell’extraneus che si combini, plurisoggettivamente, con quella dell’intraneus del reato di autoriciclaggio.

I sostenitori della tesi in esame, nel tentativo di risolvere il concorso apparente tra norme, ritengono preferibile l’applicazione del criterio dell’assorbimento. Di tal guisa, qualora appaiano applicabili due fattispecie al medesimo fatto, deve escludersi il concorso di reati nel caso in cui un reato, il più grave, incorpori l’intero disvalore oggettivo e soggettivo del fatto, esaurendolo e assorbendo il reato meno grave.

Applicando il criterio dell’assorbimento per risolvere l’antinomia tra riciclaggio e autoriciclaggio, si dovrebbe concludere per l’applicabilità del solo delitto di riciclaggio, in quanto più grave e dotato di cornice edittale più severa: il delitto di riciclaggio, dunque, assorbirebbe quello di autoriciclaggio, con la conseguenza che solo il primo sarebbe contestabile all’extraneus.

La tesi appena esposta non è andata esente da critiche e, soprattutto, il fondamentale appiglio al criterio dell’assorbimento parrebbe essere stato messo in discussione dalla pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni unite3 in merito ai criteri applicabili al concorso apparente di norme. In tale occasione, dovendosi la Corte pronunciare sul concorso tra il reato di truffa a danno dello stato e quello di malversazione, le Sezioni unite hanno abbracciato quell’orientamento giurisprudenziale che considera il criterio di specialità ex art. 15 cod. pen. l’unico principio utilizzabile al fine di risolvere il concorso apparente di norme, essendo tale principio l’unico dotato di un “sostegno ermeneutico”. Più specificatamente, in relazione al principio di assorbimento, le Sezioni unite hanno affermato che una “tale chiave interpretativa trascura l’elemento essenziale dell’istituto del concorso di norme che si fonda sulla comparazione della struttura astratta delle fattispecie, per apprezzare la valutazione implicita di correlazione tra norme ritenuta dal legislatore, non dal loro atteggiarsi concreto”.

Altra dottrina ha quindi osservato come, pur volendo parlare di concorso apparente di norme tra i reati di riciclaggio e reimpiego da un lato, e di autoriciclaggio dall’altro, di fatto manchi un rapporto di specialità strutturale tra fattispecie ex art. 15 cod. pen.

 

  1. La teoria della differenziazione dei titoli di reato

Per superare le critiche mosse alle impostazioni sopra riportate, una parte della dottrina4 e soprattutto della giurisprudenza ha ritenuto di impostare il ragionamento muovendo da un punto del tutto diverso rispetto al concorso di persone o quello di norme, vale a dire dalla possibilità di differenziare i titoli di reato per i concorrenti nel medesimo fatto criminoso.

Secondo tale ricostruzione, in alcune ipotesi sarebbe possibile imputare ai concorrenti nel medesimo fatto illecito reati diversi in base a tratti differenziali, così derogando all’istituto del concorso di persone di cui agli artt. 110 ss. cod. pen. Così sarebbe, ad esempio, nei casi di coefficienti psicologici differenti tra concorrenti, ovvero in caso di una differente posizione rispetto al reato.

Tale tesi, apparentemente eccentrica rispetto alle ordinarie regole in tema di concorso di persone nel reato, troverebbe fondamento in alcune ipotesi codicistiche. Un primo esempi o è costituito dai reati di evasione (art. 385 c.p.) e procurata evasione (art. 386 c.p.), in relazione ai quali il legislatore ha specificatamente codificato l’agevolazione e il concorso di colui che sarebbe stato, in base all’ordinaria disciplina del concorso di persone, un extraneus alla condotta di evasione, in quanto privo della qualifica di “arrestato o detenuto”. Una seconda esemplificazione è costituita dal reato di infanticidio in condizioni di abbandono materiale o morale (art. 578 c.p.), il quale al comma primo sanziona la gestante e al comma secondo sanziona la condotta del terzo che agevoli la stessa. Infine, si assiste a una differenziazione dei titoli di responsabilità ai sensi di quanto disposto dall’art. 19 della Legge 194/1978: la cornice edittale è sensibilmente minore per la donna che si sottoponga a una interruzione volontaria della gravidanza in violazione dei limiti legali, rispetto a quanto possa dirsi per il terzo che procuri l’interruzione della gravidanza.

Alla teoria in questione si è obiettato di applicare un meccanismo, quello della differenziazione dei titoli di reato, che può ritenersi legittimo solo laddove fondato su di un espresso e specifico fondamento normativo positivo. In altri termini, per derogare all’applicazione delle ordinarie regole sul concorso di persone nel reato, occorrerebbe necessariamente una espressa previsione normativa che tramuti una fattispecie concorsuale in autonoma figura di reato.

Difatti, non è possibile negare che nel nostro ordinamento il legislatore stesso abbia preveduto fattispecie a soggettività forte che realizzano una diversificazione dei titoli di reato; il problema che si pone in relazione al delitto di autoriciclaggio, piuttosto, risiede nella mancanza di una apposita previsione che possa fungere da fondamento per una variazione rispetto alla ordinaria disciplina appositamente dettata dal legislatore in tema di concorso di persone nel reato proprio. Di conseguenza, praticando una differenziazione dei titoli di reato in ipotesi per le quali la stessa non è espressamente prevista, si finirebbe per realizzare una manovra contraria al vincolo di legalità interpretativa che limita l’interprete nella scelta fra tutte le possibili interpretazioni.

 

  1. La posizione assunta dalla Corte di Cassazione

In un primo momento, con la sentenza n. 42561/2017 5, la Corte di Cassazione aveva aderito alla tesi della configurabilità di un concorso dell’extraneus nel reato di autoriciclaggio commesso dall’autore del reato presupposto. In questo senso, dunque, il terzo doveva essere punito per il delitto di concorso in autoriciclaggio. La Corte dimostrava di sposare la tesi del concorso di persone, nello specifico nel reato proprio, ex art. 117 cod. pen.

Più recentemente, la Suprema Corte è tornata sui propri passi dando luogo a un revirement giurisprudenziale degno di nota. Difatti, con la sentenza n. 17235/2018 6, la Corte di Cassazione pare aver accolto un’altra teoria proposta dalla dottrina, fondata sulla differenziazione dei titoli di reato: mentre l’autore delitto presupposto (intraneus) risponderà del reato di autoriciclaggio, il terzo (extraneus) al quale siano affidati i proventi e che li destinarli ad attività economiche risponderà del reato di riciclaggio.

Il caso oggetto del giudizio atteneva all’operato di una commercialista che, approfittando del cd. scudo fiscale, aveva dato vita a operazioni commerciali e finanziarie per consentire al proprio cliente di far rientrare in Italia somme di denaro di provenienza illecita. Condannata dal Tribunale e dalla Corte di Appello per il delitto di cui all’art. 648-bis cod. pen., la professionista ricorreva in Corte di Cassazione adducendo, tra i vari motivi, l’erronea applicazione degli artt. 110 e 648-ter.1 cod. pen., chiedendo che la Corte riqualificasse i fatti contestateli nel delitto di autoriciclaggio.

La sentenza in esame muove dalla ratio legis della riforma che ha introdotto il delitto di autoriciclaggio, sottolineando come lo scopo della Legge sia stato quello di incriminare una condotta prima coperta dal cd. privilegio dell’autoriciclaggio, con lo scopo di rafforzare la lotta ai fenomeni di money laundering, sulla scia della legislazione sovranazionale. Dunque, la riforma si è fatta portatrice di una chiara politica criminale, mirando a criminalizzare una condotta prima irrilevante sotto un profilo penale, seppur stabilendo per essa una pena più mite rispetto a fattispecie analoghe, anche in considerazione del ritenuto minor disvalore della condotta incriminata.

Di conseguenza, la Corte esclude la possibilità di accogliere qualunque tesi interpretativa che porti a svilire il fine della riforma, non solo: lo scopo che la Corte pare fissarsi, forse ancor prima di aver strutturato un percorso argomentativo, è quello di punire l’autoriciclatore neo-incriminato e al contempo assicurarsi che il riciclatore non goda del più mite quadro edittale previsto dalla nuova fattispecie. In quest’ottica, allora, la Corte rinnega la tesi fondata sul concorso di persone e sancita dal suo precedente del 2017, proprio perché condurrebbe all’applicazione del reato di autoriciclaggio anche all’extraneus, con la ripercussione di attenuare rispetto al passato il trattamento sanzionatorio nei confronti del terzo.

La Corte, poi, giunge a escludere anche le tesi fondate sul concorso di norme: tra gli artt. 648-bis e 648-ter cod. pen., da un lato, e l’art. 648-ter1 cod. pen. dall’altro, non sussisterebbe alcun rapporto di specialità, né sussistono clausole di sussidiarietà espressa. Sono solo questi due, stando ai più recenti orientamenti delle Sezioni Unite, gli unici criteri che possano guidare l’interprete nella risoluzione del concorso apparente di norme.

L’unica soluzione plausibile per la Corte, allora, pare essere la differenziazione dei titoli di reato, alla quale conseguirà una imputazione per autoriciclaggio nei confronti dell’intraneus e una imputazione per gli artt. 648-bis o 648-ter cod. pen. per l’extraneus che concorra nel medesimo fatto criminoso.

Da ultimo, la Suprema Corte confuta le critiche mosse alla possibilità di diversificare i titoli di responsabilità, sottolineando come tale meccanismo non sia né nuovo, né privo di esemplificazioni di matrice codicistica o legale in casi di realizzazione plurisoggettiva di fattispecie a soggettività ristretta. A tal fine, i giudici di legittimità richiamano i summenzionati esempi relativi all’evasione, all’infanticidio e all’interruzione volontaria della gravidanza.

Nella scia della sentenza appena esaminata si sono poste altre due pronunce più recenti7, le quali si sono limitate a richiamare il passaggio motivazionale fondamentale della sentenza n. 17235/2018.

Varie sono state le critiche mosse alla pronuncia della Corte di Cassazione da parte della dottrina. Difatti, sebbene la scelta ermeneutica effettuata dalla Corte sia in linea con una delle principali tesi dottrinarie, la stessa non può che scontare le critiche a suo tempo mosse alla teoria della differenziazione dei titoli di reato, nonché una censura metodologica.

Quanto alle problematiche di merito, si è già detto di come le ipotesi di diversificazione dei titoli di reato previste dall’ordinamento siano tutte di matrice legale, mai giurisprudenziale: solo una espressa previsione normativa, stando al principio di legalità, potrebbe giustificare l’inapplicabilità della disciplina sul concorso di persone di cui, alternativamente, agli artt. 110 e 117 cod. pen., legittimando l’applicazione di un regime diverso.

In secondo luogo, stando anche solo all’incipit motivazionale della sentenza in oggetto, pare che la Corte abbia innanzitutto fissato l’obbiettivo ermeneutico da raggiungere, stabilendo solo successivamente il percorso logico-argomentativo da seguire: in altri termini, poiché si riteneva incoerente giungere a una pena inferiore rispetto al passato per colui che un tempo sarebbe stato riciclatore e, quindi, stabilendo che lo stesso dovesse rispondere del diritto di riciclaggio, si è da questo punto di partenza costruito un ragionamento a ritroso che giustificasse l’impostazione assunta.

Da ultimo, si è notato che se la ratio legis sicuramente costituisce un valido ausilio all’interprete ai fini della dissipazione di quesiti interpretativi, non può certo, da sola, essere la chiave di lettura di un problema articolato e complesso come quello della realizzazione plurisoggettiva del delitto di autoriciclaggio.

 

CONSIDERAZIONI FINALI

Sono state molte, in dottrina, le voci che hanno criticato l’impostazione prescelta dal legislatore per i limiti che essa presenta. Se, da un lato, l’art. 648-ter.1 cod. pen. appare essere una combinazione dei delitti di riciclaggio e reimpiego, dall’altro la fattispecie di autoriciclaggio è incentrata esclusivamente sulla condotta di impiego in attività economiche e finanziarie. Inoltre, nonostante il bene giuridico tutelato appaia essere la tutela del mercato e della concorrenza, non può non notarsi come la fattispecie in questione sia posta anche a tutela della corretta amministrazione della giustizia. Da ultimo, l’art. 648-ter.1 cod. pen. si fonda sull’assunto dell’autonoma rilevanza penale delle condotte sanzionate, ma al contempo sanziona l’autoriciclatore con pena minore rispetto al riciclatore, dimostrando così la ritrosia dell’ordinamento italiano verso la criminalizzazione di condotte verso le quali altre legislazioni europee hanno storicamente mostrato maggiore sensibilità.

Dalle contraddizioni appena esposte emerge una fattispecie ontologicamente destinata a creare problematiche interpretative agli operatori del diritto. Tali complessità avrebbero potuto essere evitate, se solo il legislatore avesse optato per la modifica del dato letterale del delitto di riciclaggio, senza intervenire introducendo una fattispecie ad hoc di autoriciclaggio. A ben vedere, le difficoltà interpretative relative alla realizzazione plurisoggettiva del reato di autoriciclaggio sarebbero state evitate se il legislatore fosse intervenuto eliminando la clausola di riserva che apre l’art. 648-bis cod. pen., al contempo differenziando la pena del delitto di riciclaggio per l’autore o concorrente nel predicate crime. Il paradigma, a titolo esemplificativo, avrebbe potuto essere quello di cui all’art. 578 cod. pen. per il delitto di infanticidio in condizioni di abbandono morale o materiale, nel quale il legislatore ha optato per una differenziazione della pena per l’autore principale (gestante) e per i concorrenti nel delitto, non già per una differenziazione di titoli di reato.

La tematica in questione, ad ogni modo, non accenna a perdere di rilevanza nei tempi a venire, non solo in considerazione del panorama interpretativo frastagliato, ma anche in ragione della diffusione del fenomeno riciclatorio e della sua nocività per l’economia nazionale e sovranazionale: richiamando l’affermazione tanto semplice quanto sagace di Sir. Gresham, agente di commercio al servizio della monarchia britannica nel 1551, “la cattiva moneta in circolazione scaccia quella buona”.

 

NOTE

  1. M. Dell’Osso, Riciclaggio o concorso in autoriciclaggio? La Cassazione si affida al buon senso e aggira le questioni dogmatiche, in Indice penale, 2018
  2. In tal senso, A. M. Dell’Osso, F. D’Alessandro e G. A. Di Francesco.
  3. SS. UU., sent. 23 Febbraio 2017, n. 20664, Pres. Canzio, Rel. Petruzzellis
  4. In tal senso, F. Mucciarelli ed E. Basile
  5. Pen, Sez. II, sent. 18 settembre 2017, n. 42561, Pres. Diotallevi, Rel. Coscioni
  6. Pen., Sez. II, sent. 17 Gennaio 2018, n. 17235, Pres. Diotallevi, Rel. Beltrani
  7. Pen., VI Sez., del 24 Gennaio 2019, n. 3608, Pres. Orlando, Rel. Mirella; Cass. Pen., II Sez., del 10 Settembre 2019, n. 41084/2019, Pres. Gallo, Rel. Sandra

 

BIBLIOGRAFIA

  1. Basile, L’autoriciclaggio nel sistema penalistico di contrasto al money laundering e il nodo gordiano del concorso di persone, in Cass. pen., 2017
  2. Bricchetti, voce Riciclaggio e autoriciclaggio, tratto da Il libro dell’anno del diritto, Treccani, Roma, 2015
  3. D’Alessandro, Il delitto di autoriciclaggio (Art. 648-ter.1 c.p.), ovvero degli enigmi legislativi riservati ai solutori “più che abili”, in Il nuovo volto della giustizia penale, a cura di Baccari-La Regina-Mancuso, Padova, 2015
  4. D’Avirro – M. Giglioli, Autoriciclaggio e reati tributari, in Dir. pen. proc., 2015
  5. A. De Francesco, Riciclaggio ed autoriciclaggio: dai rapporti tra le fattispecie ai problemi di concorso nel reato, in Dir. pen. proc., 2017
  6. M. Dell’Osso, Riciclaggio di proventi illeciti e sistema penale, Giappichelli, 2017
  7. M. Dell’Osso, Riciclaggio o concorso in autoriciclaggio? La Cassazione si affida al buon senso e aggira le questioni dogmatiche, in Indice penale, 2018
  8. M. Dell’Osso, Il reato di autoriciclaggio: la politica criminale cede il passo a esigenze mediatiche e investigative, in Riv. Italiana di Diritto e Procedura Penale, n. 2/2015
  9. Gullo, voce Autoriciclaggio, tratto da Il libro dell’anno del diritto, Treccani, Roma, 2016
  10. Gullo, Realizzazione plurisoggettiva dell’autoriciclaggio: la Cassazione opta per la differenziazione dei titoli di reato, Riv. Diritto Penale Contemporaneo, n. 6/2018
  11. Gullo, Il delitto di autoriciclaggio: lacuna colmata o occasione mancata? in Tutela degli investimenti tra integrazione dei mercati e concorrenza di ordinamenti, a cura di Del Vecchio e Severino, Bari, 2016
  12. Mainieri – G. M. Tovini, I primi quattro anni dell’autoriciclaggio nell’interpretazione della Cassazione, in Giur. pen., n. 3/2019
  13. Mucciarelli, Autoriciclaggio e concorso di persone nel reato, in Riv. Italiana di Diritto e Procedura Penale, n. 4/2018
  14. Mucciarelli, La struttura del delitto di autoriciclaggio. Appunti per l’esegesi della fattispecie, in Punire l’autoriciclaggio. Come, quando e perché, Torino, 2016
  15. Mucciarelli, Qualche nota sul delitto di riciclaggio, in Dir. pen. cont., Riv. trim., n. 1/2015
  16. Piergallini, Autoriciclaggio, concorso di persone e responsabilità dell’ente: un groviglio di problematica ricomposizione, in Criminalia, 2015
  17. Seminara, Spunti interpretativi sul delitto di autoriciclaggio, in Dir. pen. proc., 2016
  18. Sgubbi, Il nuovo delitto di “autoriciclaggio”: una fonte inesauribile di “effetti perversi” dell’azione legislativa, in Dir. pen. cont., Riv. trim., n. 1/2015
  19. Troyer – S. Cavallini, Apocalittici o integrati? Il nuovo reato di autoriciclaggio: ragionevoli sentieri ermeneutici all’ombra del “vicino ingombrante”, in Dir. pen. cont., Riv. trim., n. 1/2015