COVID-19. FORZA MAGGIORE?

(Avv. Michele Minervini, 25 Marzo 2020)

La pandemia dichiarata il 30 gennaio 2020 dalla Organizzazione Mondiale della Sanità a seguito della diffusione incontrollata del COVID-19, oltre che preoccuparci  dal punto di vista sanitario,  sta causando una serie di gravissimi disagi, purtroppo solo all’inizio, nell’ambito dei  rapporti contrattuali nazionali ed internazionali che allo stato si manifestano con  ritardi, di cui è difficile ipotizzare l’entità, e che presto probabilmente determineranno, in molti casi, anche la definitiva impossibilità di adempiere.

Il fenomeno andrà a cascata in una sorta di effetto domino, di micidiale cortocircuito, ed ognuno degli operatori è chiamato oggi a fare tutto quanto in suo potere per limitare i disagi e quindi i danni.

Evidentemente soccorreranno gli antichi, e sempre attuali i principi giuridici della forza maggiore, (già noto al diritto romano) dell’ evento eccezionale e della eccessiva onerosità sopravvenuta, che in parte mitigheranno, ed in parte faranno venir meno, le responsabilità e quindi gli obblighi risarcitori, ma non automaticamente, bensì solo ove sin da subito, saranno poste in essere le necessarie azioni adoperando la massima diligenza.

La questione assume poi contorni tanto più delicati, laddove i rapporti contrattuali intercorrano tra soggetti di differente nazionalità, con differenti normative giuridiche, alcune di civil low ed altre di common low (quest’ultimo sistema non conosce i citati principi), e differenti sensibilità di giudizio.

Per ben comprendere le singole fattispecie, e quindi per agire correttamente (rectius il più correttamente possibile), si rende assolutamente indispensabile l’analisi del contratto (ove esistente in forma scritta) completo delle condizioni generali e particolari, per verificare se vi siano previsioni specifiche  (c.d. clausole di “force majeure”) e quale sia la normativa nazionale o la convenzione  applicabile (es Convenzione di Vienna del 1980 oppure principi Unidroit dei contratti commerciali con l’estero).

Possiamo comunque affermare che sono generalmente considerate cause di forza maggiore quegli eventi  estranei alla sfera di controllo della parte obbligata, che la parte stessa non poteva ragionevolmente prevedere al momento della conclusione del contratto, né poteva evitare o superare.

Per invocare la force majeure è quindi necessario che ricorrano:

l’estraneità dell’accadimento dalla sfera di controllo della parte obbligata;

l’imprevedibilità dell’evento al momento della firma del contratto;

l’insormontabilità del fatto ;

tutti elementi che purtroppo sembrano caratterizzare l’attuale momento storico.

Alla luce di quanto sopra, il contraente assolutamente o parzialmente impedito ad adempiere, per appellarsi alla causa di forza maggiore deve notificare tempestivamente alla controparte l’evento che impedisce di rispettare il contratto e l’intenzione di  avvalersi di tale clausola,  fornendo tutte le informazioni sull’andamento della situazione ed, eventualmente, la dichiarazione di voler risolvere il contratto, ma dovrà altresì  fornire la prova tempestiva e sufficiente dell’evento di forza maggiore, rispondendo dei danni eventualmente causati fino al momento della notifica, ed in alcuni casi, ove contrattualmente previsto, decadendo dalla possibilità di invocare l’istituto oltre un certo termine, (salvo ritardo incolpevole).

Di contro, colui che riceverà detta comunicazione potrà sospendere la sua prestazione e limitare il suo danno.

In proposito la Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di merci, all’art. 79 prevede espressamente che deve risarcire il danno la parte che non abbia dato comunicazione della causa di forza maggiore alla controparte.

Invocare la Forza Maggiore, significa quindi per il contraente, sottrarsi legittimamente alle proprie obbligazioni ed essere esonerati dalla responsabilità come come una sorta di “scriminante”.

La conseguenza potrà essere quindi la risoluzione totale o parziale del contratto. Nel primo caso ovviamente la parte inadempiente non potrà chiedere l’adempimento dell’altra e dovrà restituire quanto eventualmente ricevuto (es. prezzo, caparra o acconto), nel secondo caso la controparte avrà diritto ad una riduzione della controprestazione (artt. 1463 e 1464 codice civile).

Le parti possono tuttavia decidere anche di sospendere l’esecuzione del contratto o rinegoziarne le condizioni riprogrammando le scadenze e altri parametri alla luce della nuova situazione

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Non di facile soluzione è tuttavia il quesito che si sta facendo avanti in queste ore in quanto il DPCM 22/3/2020, oltre a sancire la sospensione di tutte le attività produttive e commerciali salvo quelle delle aziende con codice Ateco compreso nell’allegato 1, stabilisce all’art 1 lettera D che restano consentite le attività funzionali ad assicurare la continuità delle filiere delle attività di cui all’allegato 1…., previa comunicazione al Prefetto che può sospendere l’attività qualora ritenga che non sussistano le condizioni.

Fino all’ordine di sospensione l’attività è esercitata legittimamente.

Ci si chiede quindi se l’azienda Alfa che in Italia produce ad esempio un componente per automobile per conto di un’azienda connazionale con codice Ateco 45.3  (quindi dedita al commercio di parti e accessori per automobili) elencato nell’allegato 1, possa operare. Dal punto di vista giuridico la risposta sembrerebbe positiva.

E qualora l’azienda  dedita al commercio di parti e accessori per automobili per la quale la predetta azienda Alfa produce i componenti, fosse straniera?

Ovviamente non potremmo con certezza attribuirle il codice Ateco.

Dovrebbe quindi l’imprenditore Alfa comunicare al Prefetto il persistere dell’attività?

E se non lo facesse, potrebbe l’azienda straniera, parte acquirente di un contratto di fornitura con precise ed incombenti scadenze, pretendere il risarcimento del danno subito o la corresponsione dell’eventuale penale?

Interrogativi ai quali solo un chiarimento del legislatore potrebbe dare compiuta risposta, in assenza del quale, ogni e qualsiasi iniziativa pur se ponderata dell’imprenditore italiano sarebbe suscettibile di concreto errore.