RESPONSABILITÀ DEL MEDICO E DELLA STRUTTURA SANITARIA

Tribunale di Milano – Sez. I civile – n. 6741– 14 giugno 2018 – G.U.

 

Responsabilità del medico e della struttura sanitaria – Onere della prova – Presupposti e limiti – Quantificazione del danno – Personalizzazione – Consenso informato – Lesione del diritto all’autodeterminazione – Presupposti e limiti.

 

Secondo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione in tema di responsabilità civile nell’attività medico-chirurgica, ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e/o del medico per l’inesatto adempimento della prestazione sanitaria, il danneggiato deve fornire la prova del contratto (o del “contatto”) e dell’aggravamento della situazione patologica (o dell’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento) e del relativo nesso di causalità con l’azione o l’omissione dei sanitari, secondo il criterio, ispirato alla regola della normalità causale, del “più probabile che non“, restando a carico dell’obbligato – sia esso il sanitario o la struttura – la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinali da un evento imprevisto e imprevedibile (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 975 del 16/0 1/2009).

Più di recente la Suprema Corte ha rilevato come in tema di responsabilità contrattuale del medico nei confronti del paziente per danni derivanti dall’esercizio di attività di carattere sanitario, il paziente ha il solo onere di dedurre qualificate inadempienze idonee a porsi come causa o concausa del danno, restando poi a carico del debitore convenuto l’onere di dimostrare o che nessun rimprovero di scarsa diligenza o di imperizia possa essergli mosso, o che, pur essendovi stato il suo inesatto adempimento, questo non abbia avuto alcuna incidenza causale sulla produzione del danno. (Cass. 15993/2011).

Con riguardo alla responsabilità della struttura, giova ricordare che la stessa, accettando il  paziente ai fini del ricovero per l’intervento programmato, conclude con questo un contratto atipico di spedalità e di assistenza sanitaria, da cui conseguono obblighi non solo lato sensu alberghieri ma altresì di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell’apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze.

Ne consegue che la responsabilità della casa di cura (o dell’ente) nei confronti del paziente ha natura contrattuale e può conseguire, ai sensi dell’art. 1218 cod. civ., all’inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonché, in virtù dell’art. 1228 cod. civ., all’inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale, non rilevando in contrario al riguardo la circostanza che il sanitario risulti essere anche “di fiducia” dello stesso paziente o comunque dal medesimo scelto. (Cass. n. 13953/2007; anche Cass. n. 1620/2012).

Non pare inutile precisare che la responsabilità della struttura sanitaria (pubblica o privata che sia) sussista sia in relazione a propri fatti d’inadempimento (ad esempio in ragione della carente o inefficiente organizzazione relativa alle attrezzature o alla messa a disposizione di medicinali o del personale medico ausiliario e paramedico o alle prestazioni di carattere alberghiero), sia per quanto concerne il comportamento dei medici, trovando applicazione la regola posta dall’art. 1228 c.c., secondo cui il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si avvalga dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro, ancorché non siano alle sue dipendenze.

Si tratta della responsabilità per fatto dell’ausiliario o preposto che, in realtà, prescinde dalla sussistenza di un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato del medico con la struttura (pubblica o privata) sanitaria, assumendo invece fondamentale rilevanza la circostanza che dell’opera del terzo il debitore originario comunque si avvalga nell’attuazione del rapporto obbligatorio. L’ente risponde infatti di tutte le ingerenze dannose che al medico sono rese possibili dalla posizione conferitagli rispetto al terzo danneggiato e cioè dei danni che lo stesso può arrecare in ragione di quel particolare contatto cui si espone nei suoi confronti il paziente nell’attuazione del rapporto con la struttura sanitaria.

Responsabilità che trova fondamento non già nella colpa (nella scelta degli ausiliari o nella vigilanza) bensì nel rischio connaturato all’utilizzazione dei terzi nell’adempimento dell’obbligazione.

In merito alla quantificazione dei danni, con particolare riferimento alla c.d. personalizzazione, la Suprema Corte ha precisato che il grado di invalidità permanente espresso da un Barème medico legale esprime la misura in cui il pregiudizio alla salute incide su tutti gli aspetti della vita quotidiana della vittima. Pertanto una volta liquidato il danno biologico, convertendo in denaro il grado di invalidità permanente, una liquidazione separata del danno estetico, alla vita di relazione, alla vita sessuale, è possibile soltanto in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età. Tali circostanze debbono essere tempestivamente allegate dal danneggiato ed analiticamente indicate nella motivazione, senza rifugiarsi in formule di stile o stereotipe del tipo “tenuto conto della gravità delle lesioni” (Cass. 23778/2014).